Eroi Omerici - Aiace figlio di Telamone

Aiace il Grande, il Maggiore, o semplicemente Aiace (mentre il suo omonimo sarà sempre distinto con qualche epiteto) è il figlio di Telamone (discendente di Zeus) e sovrano di Salamina. Cugino di Achille e fratellastro di Teucro. Fu educato dal centauro Chirone insieme ad Achille e Palamede.
Da Salamina Aiace guida dodici navi, e schiera gli uomini là dove si armano le falangi ateniesi (Il. II, 557-8).

Viene descritto da Omero come il più alto tra gli achei, dotato di una robustissima corporatura, secondo solo al cugino Achille quanto ad abilità nei combattimenti. Un autentico pilastro dell'esercito acheo. Esce indenne da tutte le battaglie dell’Iliade ed è l'unico tra i protagonisti del poema a non ricorrere mai all'aiuto di uno degli dei schierati al fianco delle parti in lotta. È l'incarnazione stessa delle virtù della costanza negli impegni e della perseveranza.
Dopo la cerimonia funebre di Patroclo, ha uno duro scontro con Odisseo. Entrambi gli eroi reclamano il diritto di tenere per sé le armi di Achille, come riconoscimento del loro valore. Alla fine è Odisseo a spuntarla e Aiace s'infuria. Impazzito a causa di un incantesimo lanciatogli da Atena, si lancia contro un gregge di pecore e le massacra, credendo di uccidere i generali achei. Rientrato in sé, si vede coperto di sangue e capisce che cosa abbia in realtà fatto. Perduto in questo modo l’onore, preferisce suicidarsi piuttosto che continuare a vivere nella vergogna. Si trafigge con la spada che Ettore gli aveva donato alla conclusione del loro duello. 
Dal terreno intriso del suo sangue spuntò un fiore porpora (come era accaduto anche alla morte di Giacinto), le cui piccole foglie portano le lettere Ai, iniziali del suo nome ed espressione di un gemito di dolore per la sua perdita (Ovidio, Metamorfosi, 13, 394 e Pausania, I, 35, 4).
Altre leggende raccontavano che la sua morte fosse avvenuta a causa di una freccia scagliata da Paride; o anche, come narra Sofocle nell'Aiace, che egli fosse stato sepolto dai Troiani nell'argilla, poiché era invulnerabile e sarebbe morto di fame costretto all'immobilità. La sua invulnerabilità era fatta risalire ad Eracle che, recatosi a visitare Telamone, pregò Zeus di dare ad Aiace, figlio dello stesso Telamone, la forza della pelle di leone che è il caratteristico attributo di Eracle. Aiace, ancora bambino, venne avvolto nella pelle, che lasciò scoperto solo un punto del suo corpo, per il resto inviolabile. Zeus manifestò il suo favore anche con l’invio di un’aquila, dalla quale (in greco aietos) deriverebbe il nome Aiace (queste versioni del mito sono ricordate in Pindaro, che le desume dalle Grandi Eoie e da Licofrone).
Le sue ceneri vennero deposte sul promontorio Reteo, all’ingresso dell’Ellesponto (Strabone, XIII, 1, 30). Una leggenda, udita da Pausania dagli Etoli stabiliti a Troia, vuole che nonostante le armi fossero finite in mano di Odisseo, durante il suo naufragio il mare le trasportò presso la sua tomba (Pausania, ibid.).
Nell’Iliade è citata una tale Tecmessa prigioniera durante un’incursione achea, fu assegnata, come schiava, ad Aiace. Diventata sua compagna gli diede un figlio, Eurisace. Purtroppo la sua stirpe non ebbe una discendenza illustre (Pausania, II, 29, 4).

Egli è descritto con indosso il bronzo, probabilmente era anche dotato di una corazza in bronzo. Porta un largo scudo che è descritto dettagliatamente nell'Iliade che è un po’ il suo principale attributo, costruito da fabbro Tichio di Ile con sette strati di pelle di bue e ricoperto esternamente con una piastra di bronzo. È sempre descritto come un muro o di torre o bastione quando porta lo scudo (Il. VII, 268). Lo scudo è molto pesante, perché alcuni combattenti veterani seguono Aiace, pronti a prendere il suo scudo ogni volta che il sudore e il lavoro fiaccano le sue membra. La tipologia è quella dello scudo-armatura (body-shield), più precisamente dello scudo "a torre" attestato dal XVI e caduto in disuso dal XV secolo. Indossa un elmo di bronzo probabilmente con i paraguance. Infine in battaglia brandisce spada e lancia, spostandosi sul carro.
Un peculiarità è il patronimico, infatti la parola telamone individua un termine antichissimo, un elemento dello scudo che lo fa reggere. Soprattutto quando l’arma è poco maneggevole e pesante, si usava portarla appesa sulla spalla sinistra mediante una robusta cinghia, appunto il telamone.

Era venerato in Attica, nella Troade, a Salamina, a Bisanzio, forse a Megara. Anche in Italia il culto di Aiace quale mitico avo di varie famiglie era diffuso. Su una tomba estrusca dedicata a Racvi Satlnei a Bologna (V sec.) è riportata l’espressione “aivastelmunsl = della stirpe di Aiace Telamonio”, insieme ad una raffigurazione del suicidio di Aiace, come insegna araldica della famiglia etrusca Satlna.
PaN

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